A Cidade Maravilhosa

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Giorno 455.

Nei miei sogni di bambino esploratore da tavolino e atlante, Rio de Janeiro meritava il posto d’onore. Come Amerigo Vespucci e i suoi amici portoghesi, nel lontano 1502, scoprirono la bellezza della Baia del Guanabara, e credendola erroneamente una foce la chiamarono “fiume di gennaio”, così vengo rapito da questa città meravigliosa, che si adagia su uno degli scenari naturali più suggestivi al mondo.

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A Rio trovi tutto quello che t’immagini del Brasile, e’ una città immensa piena di colore e contraddizioni. I suoi abitanti, i Carioca, conoscono davvero la ricetta della dolce vita: spiaggie chilometriche frequentate da ragazze in perizoma, panorami mozzafiato che si incendiano al tramonto, favelas arroccate dai colori sgargianti, musica e caipirinha, feste in strada fino al mattino, samba, Jobim, gente allegra e tanto, tantissimo calcio. Solo ora capisco il significato della “saudade”, la nostalgia che prima o poi colpisce tutti i calciatori brasiliani che per lavoro si trasferiscono all’estero.

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Dopo tanti mesi di Asia, la città ci conquista con il suo calore latino e l’energia vibrante che sprizza da ogni strada, da ogni bar, da ogni spiaggia, da ogni persona. E noi ci lasciamo travolgere. All’inizio un po’ circospetti, abituati alla tranquillità ed all’assoluta sicurezza asiatica, la fama di città pericolosa ci intimidisce. Ad ogni angolo, ad ogni ombra ci chiediamo se sia la volta buona per farci rapinare. Per fortuna non è così, e complice la nuova immediata amicizia con Rosy e Aurelio, con cui condividiamo le giornate e le serate, ci rilassiamo fino a calarci nella nuova realtà carioca.

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Un giorno decidiamo di prendere il coraggio a due mani e visitare una favela. Tristemente note per la loro povertà, queste città nelle città sono quartieri abusivi di baracche colorate schiacciate contro la montagna. Spesso in mano ai narcotrafficanti e sconquassate da faide interne che non risparmiano nemmeno i giovanissimi. Negli ultimi anni il governo si è adoperato molto per risolvere la situazione, perché nelle favelas vive anche tanta gente normale che vuole veder crescere i propri figli lontano dalla droga e dalle sparatorie quotidiane. Ci informiamo in ostello su quali siano le favelas cosiddette “pacificate”, cioè messe in sicurezza dalla polizia, che negli anni e’ riuscita a sottrarle al controllo delle gang e dei trafficanti. Ci consigliano Santa Marta, e in un pomeriggio grigio e piovoso comincia la nostra scalata.

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Risaliamo la cima con una specie di trenino elettrico, l’unica forma di trasporto pubblico disponibile all’interno della favela. Ci avventuriamo per le ripide strade del Morro, tra le casupole ammassate che sembrano colare verso il mare. Per la prima volta la gente ci guarda indifferente, e’ una strana sensazione. I bambini giocano nei cortili, mentre da una chiesa di lamiera si alzano dei cori. Qualche porta si chiude quando, con discrezione, cerchiamo di fare delle foto. Meglio non insistere e proseguire oltre. Poi in un vicolo incontriamo un gruppo misto di americani/australiani/inglesi, loro si’ davvero terrorizzati, tanto da non tirare nemmeno fuori la macchina fotografica e da assoldare un vecchio incontrato per strada come guida improvvisata, affinché li scorti nella loro breve visita turistica. Li seguiamo poco convinti, come se quest’uomo di cinquanta chili potesse tramutarsi in angelo custode, nel caso in cui qualcosa andasse storto. Il vecchio li guarda con curiosità e stupore, che aumenta ulteriormente quando gli anglosassoni impauriti gli mettono in mano un centinaio di Reais, circa 35 euro. Allora sorride, con i quattro denti che gli sono rimasti: non male per un’oretta di passeggiata, deve aver pensato… Questi inglesoni, se li accompagni gentilmente, si fanno rapinare più volentieri…

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Per quanto riguarda noi, abituati alla miseria dell’India, dove tutte le città sono praticamente delle immense favelas a cielo aperto, non ci lasciamo certo intimidire da un po’ di povertà. Che per molti, come idea, e’ spaventosa di per stessa. A parte le strade invase dai rifiuti, dove i gatti scappano davanti ai topi, il posto è tranquillo. Persino Michael Jackson e’ stato qui, per girare il video di ‘They Don’t Care About Us’, e la gente orgogliosa ci mostra la sua minuta statua bronzata.

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Le spiagge di Copacabana e Ipanema, invece, vogliono dire soprattutto bella gente, bei muscoli, bei culi. Mi piacerebbe immortalare qualche perizoma striminzito sopra un fondoschiena a panettone, ma temo la reazione imprevista di qualche fidanzato geloso. Il futvolley e’ lo sport nazionale, praticato da giovani di entrambi i sessi, in egual misura. Ed e’ un vero spettacolo, il migliore che ho visto sui campetti astigiani non vale un’unghia delle due ragazzine appena maggiorenni che sbeffeggiano due machos palestrati dall’altra parte della rete. Anche solo i tramonti a Ipanema, con la bruma fresca della sera in lontananza, valgono il prezzo dell’aereo.

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Ma Rio de Janeiro e’ soprattutto Corcovado ed il suo Cristo Redentor, che domina il panorama della città e dall’alto abbraccia idealmente tutti i carioca. La dolce Rosy si commuove nel vederlo, come altre migliaia di fedeli che ogni giorno affollano il belvedere più famoso del mondo. Ancora non ci siamo abituati, a essere qui in mezzo a tutta questa gente senza nessuno che ti chieda una foto, che ti venga a parlare per sapere chi sei, come ti chiami, da dove vieni, o anche solo per stringerti la mano. L’Asia e’ lontana, ma ce la sentiamo ancora addosso. Intanto ci godiamo la vista mozzafiato, con le spiagge, la baia, il Pao de Azucar e la favelas che al tramonto si illuminano come presepi.

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Il barrio vecchio di Santa Teresa e’ il quartiere degli artisti e dei bohémienne. Nasconde perle come l’acquedotto in “stile romano”, trasformato in linea tranviaria per il mitico Bomde, il tram giallo, oggi non più in funzione, che risaliva i ripidi vicoli del centro coloniale. Ci arrampichiamo lungo la rossa scalinata di Selaron, un eccentrico artista cileno, ricoperta da un mosaico di oltre duemila mattonelle provenienti da centoventi paesi del mondo. Giulia e Rosy giocano a farsi fotografare in coppia, mentre tra i colori delle piastrelle c’è chi dorme, reduce dalla sbornia della serata.

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Alla sera, la zona di Lapa si trasforma in un locale a cielo aperto, con gente che balla ad ogni angolo, musica improvvisata, griglie ambulanti che sfornano salsicce e soprattutto Caipirinha, a fiumi. In Asia siamo diventati quasi astemi, per cui bastano due cocktail, anche se da quasi un litro l’uno, per riscaldare la serata e ci ritroviamo ubriachi a ballare tra la folla. Giulia e’ particolarmente a suo agio, si crede al Carnevale, e si esibisce con una giovane ragazza locale, una brunetta con una cascata di capelli ricci, che la coinvolge in un ballo sfrenato sul ciglio della strada.

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Una risposta »

  1. bentornati ragazzi, mi mancavano le vostre avventure 😉
    fede se rimani fino a luglio ci racconti in diretta i mondiali…mica male 😉

    • Il Canada e’ troppo caro per degli straccioni come noi.. Ma sicuramente bellissimo, te lo dico a scatola chiusa.. Anche se questo Colino dovresti portarlo un po’ fuori dai paesi anglosassoni.. Mettilo alla prova con posti più latini o più esotici! Vediamo come se la cava col caldo!

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