Giorno 207.
Apo Island e’ poco più di uno scoglio a sud di Cebu. Il santuario marino e’ stato distrutto lo scorso anno durante una tempesta tropicale, ma l’isola rimane una meta affascinante per le tartarughe giganti che popolano i fondali. Scartata l’ipotesi resort, perché c’è sempre un resort esclusivo nei posti più isolati, troviamo ospitalità a casa di Ronors e della sua famiglia. Scopriamo con sgomento che non c’e acqua corrente sull’isola, eccezion fatta per alcuni pozzi fangosi che donano secchi di una brodaglia grigia e salmastra, che non sembra buona neppure per il bucato, figuriamoci per una doccia. Per il resto tutto viene portato qui dalla terraferma, l’acqua da bere e quella piovana depurata per cucinare. L’elettricità si concede tre ore al giorno dalle sei alle nove di sera. Stop.
Chiediamo informazioni su dove andare per vedere le tartarughe e, con sorpresa, scopriamo che si trovano abitualmente proprio di fronte alla trafficata spiaggia del paese: tra barche ormeggiate e filippini chiassosi che si rotolano nell’acqua dentro giubbotti salvagenti. Mi diverte il fatto che pur non sapendo nuotare non vogliano rinunciare all’esperienza. E così sovente si assiste alla scena di turisti catarifrangenti imbozzolati come salami, che vengono trascinati a braccia in un metro e mezzo d’acqua da amici nuotatori più esperti. E spesso la gita finisce in tragedia perché temerari, ma del tutto estranei a quello che stanno per fare, cadono dalla barca, inciampano sugli scogli, bevono acqua salata a garganella e poi si spaventano, oppure finiscono la giornata in lacrime con i piedi, o peggio il sedere, trafitti dagli aculei di qualche riccio di mare appostato proprio li’, in agguato alle gigantesche chiappe puntaspilli.
Impazienti dell’incontro ci buttiamo in mare, anche se è già quasi il crepuscolo. La marea si ritira in modo impressionante scoprendo per alcune decine di metri uno sgradevole tavolato di roccia e alghe dove i ricci spuntano a centinaia. Mentre attraverso il tappeto di melma verde, tentando di raggiungere almeno i trenta centimetri di profondità necessari per nuotare, Fede non trova niente di meglio da fare che lanciarmi stronzi di mare addosso, che oltre a farmi profondamente schifo, molli e viscidi come sono, rischiano pure di farmi cadere, mentre come una contorsionista tento di scansarli. Ma lui è così, e’ nato spiritoso…
Quando avvisto la prima tartaruga a pochi metri da me, per poco non mi metto a urlare di gioia. Nuotiamo con loro per oltre mezz’ora. Non sembrano per nulla spaventate dalla nostra presenza, intente come sono a brucare sul fondo alghe verdi come lattuga. In poco più di un metro d’acqua dalla riva ne vediamo almeno otto. Sono emozionata come una bambina, e continuo a muovermi da una all’altra per non perdermi nulla di quello che fanno. Poi decido di violare la legge e di accarezzarne una sul dorso maculato di rosso e giallo: la sento liscia e coriacea. Quando ci prova Fede, lei si gira seccata e tenta di morderlo. Ben gli sta, lui e i suoi stronzi di mare.
E’ l’imbrunire ormai e in acqua inizia a far freschetto. Mentre nuoto verso riva avvisto in lontananza una grossa specie, striata bianca e marrone, che nuota in superficie. Sgrano gli occhi nella penombra e cerco Fede, affannata, per mostrargli la mia scoperta, ma non lo trovo. Quando tiro fuori la testa dall’acqua per vedere dove si è cacciato, scopro che il bianco tartarugo altri non erano che lui e i suoi bermuda della Billabong.