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Borneo – Informazioni pratiche

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KOTA KINABALU – MALAYSIA
DA FARE:
Città di passaggio per via dei voli economici che collegano l’isola alla Malesia continentale. Sul lungomare si trova un fornito mercato artigianale dove centinaia di bancarelle letteralmente traboccano di souvenir di ogni genere. Una cena a base di pesce al frequentato mercato notturno va provata, ma bisogna prepararsi a prezzi quasi europei.
DORMIRE:
Akinabalu Youth Hostel – 65 RM camera senza bagno, colazione inclusa – posto accogliente e frequentato da giovani viaggiatori, dispone di un’ampia ed ariosa sala comune, con WIFI e TV, camere e bagni semplici, ma molto puliti.

SUKAU – MALAYSIA
DA FARE:
Escursione all’alba sul Kinabatangan River per avvistare le buffe scimmie nasiche. Ogni Guesthouse organizza il giro in barca per i propri clienti. I prezzi sono ovunque gli stessi, per circa tre ore di navigazione si aggirano sui 30 RM a persona.
DORMIRE:
Sukau RB Lodge – 50 RM bungalow con bagno + colazione inclusa – e’ il primo posto che si incontra uscendo dal villaggio, seguendo il corso del fiume. Le camere sono un po’ umide per via delle abbondanti piogge e ci sono molte zanzare, ma se si vuole soggiornare sul lungo fiume non c’è via di scampo. Il padrone e’ molto ospitale e fornisce pasti solo su prenotazione. E’ importante ricordarsi di avvisarlo almeno due ore prima se non si vuole rimanere senza cibo, perché in tutto il villaggio non c’è un ristorante.

TAWAU – MALAYSIA
DA FARE:
Il consolato indonesiano di Tawau e’ il miglior posto in tutta l’Asia per ottenere in poche ore un visto turistico di due mesi. A differenza di Singapore e Kuala Lumpur, qui non è richiesto alcun volo d’uscita dal paese come requisito essenziale per il rilascio del visa. Unica raccomandazione, e’ necessario vestirsi adeguatamente per poter accedere agli uffici, niente gonne troppo corte o infradito per gli uomini.
DORMIRE:
North Borneo Hotel – 50 RM camera doppia con AC – hotel vecchio stile in via di restauro. Le camere sono spaziose e molto luminose, i letti puliti e di buona fattura, mentre la moquette ha visto giorni migliori. Peccato per gli scarafaggi.

TARAKAN – INDONESIA
DA FARE:
Una visita al parco cittadino dove sono protetti diversi esemplari di scimmie nasiche ed un’escursione fuori città per visitare la ricostruzione di un villaggio tradizionale. Per noi la cosa migliore e’ stato incontrare per caso Uri, l’unica couchsurfer della città, che ci ha introdotto tra i suoi amici con feste di battesimo e serate al karaoke.
DORMIRE:
A casa di Uri e della sua splendida famiglia.

DERAWAN – INDONESIA
DA FARE:
Per essere un’isola la cui circonferenza si percorre a piedi in meno di un’ora via spiaggia, Derawan offre davvero un sacco di esperienze indimenticabili. Una spiaggia incontaminata che, durante la bassa marea, si allunga in mare con un chilometrico banco di sabbia bianchissima. Decine di tartarughe che nuotano proprio sotto i bungalow e ogni notte vengono a riva per deporre le uova, sotto la vigile osservanza di un manipolo di rangers del WWF. Snorkeling eccezionale sulla vicina isola di Kakaban, dove è anche possibile fare il bagno in un lago salato popolato da migliaia di esemplari di meduse non urticanti. Non abbiamo visto le mante giganti, che si trovano numerose sulla vicina isola di Sangalaki, ma Derawan si classifica decisamente nella nostra top ten delle isole da sogno.
DORMIRE:
Pinades – 100.000 Rp camera doppia con balcone + colazione inclusa – Marsi e la sua famiglia gestiscono con grande ospitalità questa guesthouse composta da tre camere a palafitta sull’acqua, dall’arredamento semplice, ma pulitissime, proprio sul molo più lungo del villaggio ed anche il più panoramico. Donuts fatti in casa per colazione.

SAMARINDA – INDONESIA
DA FARE:
Base di partenza per l’escursione lungo il Mahakam River. La città vanta una bella moschea che si specchia sulle acque fangose del fiume.
DORMIRE:
Gelora Hotel – 121.000 Rp camera doppia + colazione inclusa – in assoluto vince il premio per la stanza più schifosa di tutto il viaggio (finora, perché non c’è mai limite al peggio). La Lonely Planet ci fa davvero un bel pacchetto suggerendoci questa sistemazione dalle “camere immacolate”, parole testuali della guida, che si rivelano ammuffite, scrostate e traballanti, in una struttura vecchia come Noè. Purtroppo in città gli alberghi sembrano essere tutti pieni, eccezion fatta per il Gelora Hotel e non è difficile capire il perché.

MAHAKAM RIVER – INDONESIA
DA FARE:
L’escursione lungo il fiume attraverso i tradizionali villaggi Dayak e’ davvero un tuffo nel passato. Fino al villaggio di Long Bagun si può risalire in economia grazie ad un efficiente servizio di battelli pubblici, oltre e’ necessario noleggiare piccole imbarcazioni veloci a prezzi decisamente meno abbordabili. Da qui si può organizzare la Transborneo, un trekking di diversi giorni nella giungla che conduce fino al Kapuas River e da li discendere nuovamente fino al mare. Ma e’ un’esperienza abbastanza estrema, per cui necessita tempo, denaro, guide affidabili e un buon allenamento fisico.
DORMIRE:
Sul battello pubblico e’ possibile noleggiare dei materassini per dormire. Il costo si aggira sulle 20.000/30.000 Rp da aggiungere all’importo del biglietto per la tratta che si vuole percorrere. A bordo si trovano toilettes spartane ed un discreto servizio ristorante.

MUARA MUNTAI – INDONESIA
DA FARE:
Il villaggio e’ una bomboniera di case sull’acqua collegate da strade di legno ricavate su passerelle rialzate. Bellissimi scorci di bambini che nuotano nei cortili allagati durante le piene del fiume.
DORMIRE:
Penginapan Srimuntai – 100.000 Rp camera doppia senza bagno + free coffee – ricavata in una grande casa azzurra, gestita da un’anziano signore, questa guesthouse offre camere semplici e pulite con bagni in comune ed acqua corrente.

LONG BAGUN – INDONESIA
DA FARE:
Alla ricerca delle vecchie donne Dayak che ancora sfoggiano i tradizionali tatuaggi su mani e piedi.
DORMIRE:
Losmen Polewali – 130.000 camera doppia senza bagno – il posto e’ carino, nuovo e ben ristrutturato. Le camere sono un po’ piccole per due, con letti da una piazza e mezza. Il vecchio proprietario non è proprio un signore simpatico e accomodante.

DATAH BILANG – INDONESIA
DA FARE:
Combinare un incontro con un’anziana dalle lunghe orecchie può costare tra le 100.000 e le 200.000 Rp. Contrattare e’ d’obbligo.
DORMIRE:
Tepian Losmen – 50.000 Rp camera doppia senza bagno – la pensione si trova proprio sull’imbarcadero dove attracca il battello. Le camere sono davvero molto spartane, i bagni un buco sull’acqua e la doccia si fa nel fiume, ma la famiglia che lo gestisce e’ veramente accogliente, il ristorantino serve buoni piatti economici ed il figlio maggiore Ojezz parla un buon inglese e si presta volentieri a fare da guida gratuita per i turisti di passaggio.

BALIKPAPAN – INDONESIA
DA FARE:
Assolutamente niente. Noi aspettiamo un volo per Jakarta.
DORMIRE:
Aiqo Hotel – 265.000 Rp camera doppia con AC + colazione inclusa – hotel nuovissimo e pulito, ma abbastanza caro per il livello delle camere.

NOTE:
Cambio aprile 2013 – Malaysia: 1 euro = 4 RM circa.
Cambio maggio 2013 – Indonesia: 1 euro = 12.500 Rp circa.

Un naso da far invidia

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Giorno 230.

La loro sfortuna più grande, forse, è di essere meno famose degli oranghi, decisamente più brutte, e lontanissime da raggiungere. Nel Sabah occidentale, stato malese che occupa la fascia nord del Borneo, vivono ancora alcune migliaia di esemplari di Nasiche, una rarissima specie, splendidamente orrida, quasi sconosciuta in Europa. Ma le grandi scimmie proboscidate sono davvero tra le creature più insolite e curiose che si possano incontrare. Impossibili da vedere in uno zoo occidentale a causa di un apparato digerente dal delicatissimo equilibrio che consente loro di nutrirsi esclusivamente di semi e foglie autoctone, questi unici primati dall’incredibile naso a penzoloni possono vivere solo qui, in Borneo, e noi non vogliamo perdercerle.

Le incontriamo all’alba di una luminosa giornata di sole, lungo il fiume Kinabatangan. Scivoliamo controcorrente su acque di un bel color caffellatte, tanto fangose da sembrar quasi dense. Continuo a pensare che non ci farei il bagno dentro per tutto l’oro del mondo e intanto, nella mia fervida immaginazione sempre a caccia di pericoli, si susseguono immagini di coccodrilli pazientemente in agguato, che pregano affinché il nostro fragile barcotto si inabissi come il Titanic, urtando contro qualche insidioso tronco galleggiante. In ogni caso il fondo si sta già riempendo d’acqua, non ci sarà mica un buco li sotto da qualche parte? Fede ignora le mie domande e si concentra sul panorama. Mi spiega che siamo circondati da una sottile striscia di foresta primaria, una delle piccole oasi incontaminate che resistono nell’era delle piantagioni, da quando la palma da olio e’ diventata il nuovo oro liquido malese.

Come una bambina richiamata all’ordine, cerco di rilassarmi, di ignorare i piedi bagnati nell’acqua che inesorabilmente sale, e di godermi la foresta. Mi concentro sul canto degli uccelli, un frastuono rilassante e quasi surreale nell’immane silenzio del mattino. Intorno a noi solo verde che si arrampica su altro verde, un groviglio inestricabile di piante e rampicanti che tentano di sfiorare il cielo nella fame di luce. Purtroppo non ci sono elefanti in vista, ma splendide varietà di uccelli sconosciuti e un solo innocente coccodrillo che fugge al nostro arrivo.

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Poi finalmente incontriamo le vere star. Intere famiglie di proboscis monkeys che si rincorrono fra le piante, giocano, mangiano o si spulciano a vicenda. Le femmine sono delle vere Genoveffe, col naso affilato rivolto all’insù. Indispettite si girano di schiena, celando i piccoli stretti al ventre. I maschi, invece, sono giganteschi, dalle dimensioni quasi umane, con grasse pance rigonfie di pelo, come barilotti avvolti nel gilet. Controllano i nostri movimenti con occhi vigili, dietro mastodontici nasoni molli che, mi dispiace dirlo, li rendono davvero brutti. Le chiamano scimmie con la proboscide, ma non posso fare a meno di puntualizzare che, più realisticamente, sembra un grosso fallo appiccicato in piena faccia. Sembrano uscite da uno spot pubblicitario di una marca di preservativi. Un’idea che potrebbe far invidia a Rocco Siffredi…

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Malaysia – Informazioni pratiche

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GEORGETOWN
DA FARE:
girovagare tra i vicoli della città vecchia, perdendosi fra le facciate in stile coloniale. Visitare nello stesso giorno una moschea, un tempio cinese ed uno indù.
DORMIRE:
Tourist Guesthouse – 30 RM doppia senza bagno e senza finestra – la camera e’ praticamente un loculo dove dentro ci sta appena appena il letto. Però il padrone anziano e’ talmente bollito, da farci scassare dalle risate.
Hang Chow Hotel – 35 RM doppia senza bagno – ricavato all’interno di una vecchia casa coloniale, molto pulito e con un buon ristorante al pian terreno. I padroni cinesi sono gentili ed ospitali.

KUALA LUMPUR (KL per gli amici)
DA FARE:
assaporare la diversità dei vari quartieri e soprattutto delle diverse cucine provenienti da tutto il mondo. Una passeggiata serale sotto le Petronas Towers illuminate e’ d’obbligo.
DORMIRE:
Birdnest Guesthouse 2 – 35 RM doppia senza bagno – posto accogliente, in piena Chinatown. Gestito da una coppia di australiani offre camere colorate, bagni puliti, cucina a disposizione, mansarda con tv. Ottima sistemazione!

NOTE:
– CAMBIO – febbraio 2013: 1 euro = 4,5 RM circa.

Tutti Frutti – La Malaysia dalla A alla Z

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Giorno 162.

ANANAS, mangiato qui rivela finalmente il suo vero sapore, che e’ decisamente molto diverso da quello offerto dai banconi dei supermercati nostrani..

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BANANE VERDI. Piccole, dolcissime e in vendita al prezzo delle patate.

CACHI SECCHI. Molto amati anche in Cina ed evidentemente importati qui dalla grande comunità cinese. Una bomba calorica non giustificata dal clima esageratamente caldo.

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DURIAN, una bomba puzzolente, butterato come una granata o una mazza ferrata. Odora di formaggio andato a male, ma una volta assaggiato il suo cuore giallo si trasforma in una delizia per palati fini. O si odia o si ama, non ci sono vie di mezzo, in ogni caso e’ severamente vietato portarlo in ascensore o dentro la metropolitana. DRAGONFRUIT. Quando il fico d’India sposa il kiwi. C’è ne sono di due tipi, quello bianco con i semi e la variante con la polpa viola acceso, ma per me la sua buccia rosa con creste da drago resta la sua parte più affascinante.

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ESTATE. Qui non finisce mai, non cede mai il passo ad un’altra stagione. Non resta che abituarsi, o chiudersi nei centri commerciali super condizionati.

FRUTTO DELLA PASSIONE. Il nome e’ estremamente evocativo, ma a me non piace per niente. Sembra un piccolo melograno con grossi semi dorati leggermente aciduli, se il frutto non e’ completamente maturo.

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GUAVA, sembra una piccola mela cotogna, verde e bitorzoluta. Di solito si consuma con la buccia, affettato finemente, come accompagnamento a intingoli o decorazione per piatti.

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JACKFRUIT. Un vero gigante dalle dimensioni di un sacco di riso di venti o trenta chili. La sua buccia colore verde scuro e’ ricoperto da una spessa corteccia ricca di spuntoni come il durian, ma meno acuminati. Contiene tanti spicchi gialli dalla polpa densa e dal sapore dolciastro.

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HAPPY NEW YEAR!!! Il capodanno cinese ci prende di sorpresa tra le bancarelle di Chinaown. Una sfilata di draghi scodinzola in una scia di petardi e tamburini, mentre entra ed esce dai negozi. La processione di danze e capriole si ferma di fronte ai piccoli santuari che non mancano mai dentro qualsiasi attività commerciale. La visita dei draghi e’ di buon auspicio per il nuovo anno, giusto il tempo di una foto con il titolare e via si passa oltre…

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INCONTRO DI RAZZE, RELIGIONI E CUCINE. Uno dei paesi più multietnici del mondo e probabilmente anche uno di più tolleranti. La Malaysia di oggi e’ un insolito mix culturale, da scoprire giorno dopo giorno.

LICHIS. La prima volta che l’ho mangiato è stato in un ristorante cinese, ma qui sono un po diversi. I chicchi sembrano legnosi ed hanno una buccia marroncina. Il loro sapore somiglia a quello dell’uva, ma senza il fondo acidulo, hanno un gusto rotondo e delicato, con un seme centrale, levigato e molto grande.

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MANGUSTEEN, unico, inimitabile, non esiste niente del genere. Sembra una piccola melanzana con la buccia spessa e legnosa, al cui interno crescono piccoli spicchi bianchi incredibilmente cremosi e di una dolcezza paradisiaca. MANGO. Acerbo si mangia salato, ma quando è maturo si scioglie in bocca. Il nocciolo all’interno e’ piatto e grosso quasi quanto il frutto stesso. Scivolosissimo da sbucciare, ha una polpa gialla e profumata.

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NON CI SONO TIGRI NE PIRATI!! Era lo scenario esotico che Emilio Salgari immaginava come teatro delle avventure del suo Sandokan, il pirata con lo sguardo indiano del mitico Kabir Bedi. Ma la Malaysia di oggi è molto diversa: la giungla c’è ancora, verde e rigogliosa, così come le spiagge farinose ed il mare blu, ma è nello skyline delle grandi città che si può intravedere il suo futuro. Un Paese che oggi guarda con curiosità e simpatia alle fantasie di Salgari, i cui romanzi sono stati tradotti in malese proprio in occasione del centenario della sua morte.

OLIO DI PALMA. La coltivazione della palma da olio e’ una caratteristica tipica del paesaggio malese. Ha fatto la fortuna dell’economia nazionale e soprattutto delle multinazionali del settore, ma come un boomerang si è ritorta contro il delicato ecosistema tropicale, causando la distruzione di grandi aree di foresta pluviale incontaminata.

PAPAYA, un po’ frutta un po’ verdura, ha un sapore succoso e rinfrescante, che gli e’ valso il soprannome di “melone tropicale”. È la regina delle vitamine ed e’ ricchissima di proprietà digestive ed antiossidanti.

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QUANTO PERSONALE INUTILE NEI LOCALI!! Cinque camerieri per dieci tavoli, tre commessi in un spopolato. Probabilmente il costo del lavoro e’ l’ultima preoccupazione di ogni esercente, perché ovunque il personale supera il numero dei clienti. Tipicamente Asia.

RAMBUTAN. Sembra un riccio di mare, ma la sua peluria e’ innocua e rossiccia. Cela al suo interno un frutto simile ad un grosso acino, dolcissimo, succoso e con un unico seme al centro. Difficile da capire se non si conosce il trucco per aprirlo: una volta impugnato con le mani alle due estremità, va prodotta una torsione in senso opposto con i polsi. Solo così la buccia si romperà nettamente all’equatore, lasciando addentare il frutto in un sol boccone.

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STARFRUIT o carambola. Succoso, dal sapore acidulo, impossibile da pelare, ma una volta affettato avrà davvero la forma di una stella.

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TORRI GEMELLE. Le Petronas sono il vero simbolo della Malaysia. Amatissime dagli abitanti di Kuala, che nei caldi pomeriggi affollano i giardini all’ombra delle gigantesche torri, con picnic improvvisati, mentre i bambini sguazzano nelle fontane completamente vestiti, anche da carnevale.

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UVA. Incredibile a dirsi, ma si trova anche qui, con chicchi grossi come palline da golf. Probabilmente importata dalla Cina, quindi geneticamente modificata.

VELI IN SALDO. Negozi specializzati si concentrano unicamente sulla vendita dell’accessorio più diffuso tra le donne. Teste di manichini dal trucco deciso sfoggiano foulard in tutte le tonalità immaginabili. Non manca la cura del particolare, con una ricca gamma di accessori per abbellire i tessuti, in un tripudio di perline, fermagli e mollette.

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ZOCCOLE. Come sempre anche qui non mancano. Il mestiere più antico del mondo e’ un mercato cinese di ragazze discinte sedute di fronte ad inverosimili centri benessere…

Il giardino delle luci

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Giorno 161.

Kuala Lumpur o KL come viene chiamata dai suoi abitanti, è una capitale moderna dal nome confuso, che significa “confluenza fangosa di fiumi”. Centro minerario di stagno, fondata da un manipolo di cinesi e presto divenuta una delle più fresche capitali asiatiche, nasce tra due fiumiciattoli, avvolta da una foresta verdissima che la circonda e si insinua tra le piazze e le strade, plasmando un ambiente particolarmente armonioso. E’ una città che stupisce per l’ordine, l’efficienza dei mezzi di trasporto, in cui il progresso dirompente viaggia a velocità tripla rispetto alla vecchia Europa, ma che allo stesso tempo, convive in armonia coi venditori di strada ed il baccano dei mercati all’aperto, come nella migliore tradizione asiatica.

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Chinatown e’ una via stretta, avvolta in una cupola di plexiglas, sovraffollata da ristoranti e tavolini, bancarelle e tarocchi, il tutto gestito da malesi, bengalesi, pakistani e qualche cinese di seconda generazione che vende mazzi di peluches… e poi come sempre è invasa dai turisti. Vengono tutti qui, a cercare la Cina che non c’è più. Perché i cinesi ormai hanno fatto il grano e si sono trasferiti nel cuore pulsante della città, il Golden Triangle, paradiso dei mega schermi e dei centri commerciali, dove l’Asia lascia spazio all’occidente.

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Il capodanno cinese impazza intorno a noi nelle danze dei dragoni e nel fumo dei petardi, ovattato dagli aloni colorati di migliaia di lanterne di carta che dondolano nella calura notturna. Nei templi c’è la fila per offrire incensi e mandarini a grassi Buddha con i baffi, mentre alcuni mendicanti indiani aspettano pazienti, seduti fuori dai cancelli con la scodella in mano, che i fedeli cinesi escano, confidando nella generosità di un diverso credo.

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A Little India le strade sono pulite e i semafori funzionano. Ristoranti e bancarelle offrono tikka e tandori, basmati e cheese nan, ma in giro niente mucche e niente cacche. Il subcontinente indiano e’ vicino, ma non e’ mai stato così lontano. La sera ci trasferiamo a Merdeka Square, la grande piazza dell’indipendenza che sorge sopra il vecchio campo da cricket, eredità inglese. Il palazzo del sultano splende nel blu dipinto di blu, mentre tutto il mondo gioca con girandole fluorescenti davanti a un mega schermo che proietta a ciclo continuo partite di calcio d’oltreoceano, che nessuno si fila.

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E’ sabato pomeriggio e girovaghiamo tra gli Shopping Mall del Golden Triangle, area di ritrovo della rampante gioventù malese. All’interno di questi surreali non luoghi, dove si vive di luci al neon e offerte speciali, si può mangiare, andare al cinema, tirare con l’arco, camminare su piastrelle di gelatina viola o scoprire che qualcuno ha avuto l’incredibile pensata di incastrare, tra il sesto e l’ottavo piano, un enorme parco dei divertimenti, dove l’ottovolante si avvita fra le scale mobili e il giro della morte ti stordisce di vetrine…

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Sopra tutto questo svettano le lucenti Petronas Towers, le torri gemelle della compagnia petrolifera malese, dove il potere non dorme mai. Viste da sotto danno il capogiro: due gigantesche strutture in vetroacciaio lucido, dalle fattezze molli e tondeggianti, ma allo stesso tempo irte come spighe di vetro grigio, un po’ barocche, un po’ arabeggianti, che si allungano sul cielo malese come parti erranti di un’astronave spaziale abbandonata. Di notte scintillano nel surreale giardino di luci e grattacieli, avvolte in un’aurea affascinante.

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Noi saliamo sulla Menara Tower, la torre di Star Trek. Entriamo in ascensore e nel tempo di un respiro siamo in cima: a quasi 400 metri d’altezza il panorama e’ impressionante. La città ci svela un cuore colorato e multietnico, dove strambi grattacieli sbucano qua e la, tra mercati e giardini, proprio accanto a enormi spazi infestati da catapecchie di lamiera.

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