Archivio mensile:gennaio 2013

Luna piena a Ko Phangan

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Giorno 146.

Una notte al mese, nel Golfo della Thailandia, giovani e non provenienti da ogni parte del mondo, si riuniscono nella piccola isola di Koh Phangan, sulla grande spiaggia di Haad Rin, dando vita all’evento più folle e trasgressivo che abbia mai visto. Perché il Full Moon Party finche non si vive, non si può credere. La festa inizia al tramonto, quando gli ultimi raggi del sole cedono alla notte e i contorni del golfo iniziano a sfumare, cambiando forma e colore sotto la luce di una luna enorme e perfetta che si riflette nell’acqua scintillante. È allora che lo spettacolo si rivela, lasciando letteralmente sbalorditi.

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Dieci, forse ventimila persone iniziano ad affluire su taxi di fortuna. Una mandria di carne umana, unta ed abbronzata, che rilascia feromoni e fa pipì sul bagnasciuga. La spiaggia si trasforma in un’insalata russa di etnie e lingue differenti: australiani, svedesi, russi, thailandesi, uomini, donne, lady-boy, gogo-boy, tutti in coda dentro al tunnel del divertimento. Le “party people” sfoggiano canotta e infradito, bikini e collanine, corpi variopinti da vernici fluorescenti e facce, tante facce, dipinte o in preda a fantastiche espressioni. Ognuno se ne va a spasso barcollando col suo secchiello sottobraccio, ma senza paletta e formine, perché nel celebre “bucket” thailandese ( il comodo catino da party completamente equipaggiato di manico, cannucce e ghiaccio) l’alcol scorre a fiumi nel suo mix più letale: whisky, coca e redbull. E quando e’ vuoto semplicemente lo ricarichi. In questo sovraffollamento da svago, si festeggia fino all’alba tra migliaia di lampadine che si accendono, fiaccole che vorticano in scie luminose e incandescenti, giocolieri e spuntafuoco, serpenti e scimmiette, gare improvvisate di limbo, ballerini seminudi che danno bella mostra di se e del proprio perizoma leopardato, fuochi d’artificio sparati ad altezza d’uomo che ti sfiorano le orecchie e ti accendono come un fiammifero se non stai più che attento a chinarti quando senti arrivare il fischio…

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Io sono emozionata come una bambina e ubriaca come ogni adolescente che si rispetti al terzo secchiello alcolico. I nostri compagni di avventura sono Eva e Seb, Tobi e Sebastian, quattro ragazzi tedeschi all’incirca della nostra età che stanno sulla nostra stessa spiaggia e paiono entusiasti quanto noi. Ci facciamo il bodipainting e qualche secchiello per riscaldare l’atmosfera, poi ci buttiamo in spiaggia, che alle nove e mezza e’ già nel pieno del delirio. Ci accoglie un chilometro di sabbia bianca pulsante di vita propria sotto una luna gigantesca, una folla immensa ondeggia come un serpente sinuoso al ritmo di decine di musiche diverse. Balliamo tutta la notte, Avidano compreso, mai vista una cosa simile. Intorno a noi si materializzano scene oniriche al limite tra sogno e realtà. Mi sento come Alice nel Paese delle Meraviglie: uomini diavolo insidiano ragazzone travesiste da farfalle, puffi blu alti due metri o poco più, un uomo va a spasso con un jeko rasato sulla testa, non manca il cappellaio matto nella moderna versione punkabbestia, poi c’e’ gente che ride, gente che canta, qualcuno ci prova, mentre altri più fortunati amoreggiano già sul bagnasciuga mezzi svestiti e senza tabù. Niente fighetti, niente musi lunghi che si danno quel tono tipico da noi in Italia del “sono qui, ma sono troppo sostenuto per lasciarmi andare davvero”. Sento intorno a me il divertimento allo stato puro, la voglia di partecipare, di essere liberi di esprimersi senza paura, con quel pizzico di autoironia che solo i nordici trasmettono. Mi sembra incredibile, ma dopo la Spagna non mi era mai piu capitato di trovarmi in una situazione di questo genere, insieme a ventimila persone cui importa solo esserci, qui ed ora, ognuno a divorare il momento, senza dover sembrare per forza meglio degli altri, perché tutto questo voler apparire in fin dei conti non è poi così interessante…

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The Big Mango

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Giorno 143.

Con Bangkok e’ stato amore a prima vista, nell’estate del 2004. Era la prima volta in Asia, anzi la prima volta fuori dall’Europa, e non ci poteva essere approdo migliore. Il Grande Mango ti accoglie con un esplosione di colori, suoni, odori, caos che rischia di travolgerti… come un grande amore, appunto. Quello che ci lega a questa città e a questo stupendo continente in generale.

Bangkok non tradisce chi cerca l’esotico, perché è stata in grado di rinnovarsi pur mantenendo intatta la propria anima. La Thailandia di oggi e’ proiettata verso il futuro, con masse di turisti che ne invadono le spiagge e le foreste, con il risultato di aver perso quasi del tutto la propria identità. Bangkok no, in questo senso e’ uno dei luoghi più “Thai” del paese. In essa riescono a convivere, e a fondersi in un mix inebriante, i grattacieli più moderni e le antiche case di legno, gli skytrain che bucano il cielo sopra centri commerciali addobbati con megaschermi al plasma e un esercito di tuk tuk scoppiettanti o di taxi in multicolor. Gli alberghi più lussuosi d’Asia si specchiano nello stesso fiume in cui si riflette il Wat Arun, il tempio dell’Alba, uno dei luoghi più venerati della città. I ristoranti di lusso si trovano fianco a fianco delle bancarelle gastronomiche. Fusion e’ la parola che mi viene in mente quando penso a questa città. Il business la fa da padrone, ma ogni mattina per le strade si compie il vecchio rituale del saluto al re.

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Il bello di Bangkok e’ che accoglie tutti, senza distinzioni. Dagli pseudo hippie del ghetto turistico di Khao San Road ai fanatici dello shopping, dagli uomini d’affari ai puttanieri più incalliti. Ognuno libero di manifestare se’ stesso nel modo che ritiene più opportuno, perché Bangkok non ti giudica, ma ti accetta e ti tollera senza riserve. Certo, negli ultimi anni la tipologia dei turisti e’ cambiata, sono aumentati in numero esponenziale i russi ed i cinesi (ancora loro….) ed i turisti europei del tipo “package tour”, e Khao San Road e’ piena di tamarri abbronzati in canottiera, dediti al consumo di birra più che di ganjia. Ma questo non è colpa di Bangkok, la città osserva queste nuove masse, paziente come sempre.

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Noi che l’abbiamo già visitata, siamo immuni alle visite d’obbligo ai luoghi più frequentati, che restano pur sempre di grande interesse, come il palazzo reale, il Buddha sdraiato, Chinatown o i mercati galleggianti…. per cui abbiamo tempo di esplorare un po’ più a fondo la vita locale, restandone affascinati una volta di più. Scopriamo un quartiere fatto di case basse in legno, a pochi passi dal centro, dove ci sistemiamo nella guesthouse di una famiglia Thai che fa di tutto per ricordare agli ospiti che il paese di cui tanti occidentali si sono innamorati era un po’ diverso da come si presenta oggi. Ce ne andiamo a zonzo per centri commerciali fuori mano, dove i grattacieli si alternano a spazi di degrado urbano in cui ragazzi locali giocano al Takraw, la versione thailandese del calcio-tennis. Siamo in cerca di un buon affare, che per noi si concretizza nell’acquisto di una Nikon V1 bianca come il latte, perché ormai nera e’ introvabile. Alla sera riusciamo anche a fare un giro in uno dei distretti a luci rosse, naturalmente non quello iper-commercializzato di Patpong, ma in quello decisamente più hard-core del Nana Plaza, dove la maggior parte della gente non va per sbirciare, ma per consumare davvero. Giulia mi trascina via proprio sul più bello, quando sto per entrare in un night club per gustarmi uno show dal vivo, attirato nella rete da un orda di bellezze locali che vorrebbero fare del mio corpo uno strumento di lussuria… Ma non temere, città del vizio, sarà per la prossima volta!!!

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Cambogia – Informazioni pratiche

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BANLUNG
DA FARE:
Trekking in the Jungle, che nella stagione secca e’ più una foresta che una vera e propria giungla. Ogni guesthouse organizza escursioni da uno a cinque giorni. Bagno nel lago vulcanico Yeak Loam.
DORMIRE:
Banlung Balcony – 4 $ doppia senza bagno – sulla riva del lago cittadino e’ uno dei pochi posti per backpackers. Il proprietario e’ un australiano di una certa età, molto caratteristico. Camere pulite e piacevole terrazza lounge.

PHNOM PENH
DA FARE:
La visita della prigione S21 e ai killing fields di Cheung Ek lascia una gran voglia di piangere.
DORMIRE:
Longlin Guesthouse – 8 $ doppia con bagno – nella capitale le accomodation economiche sono tutte piuttosto fatiscenti e brulicano di scarafaggi. Questa non fa eccezione, ma ha un piacevole terrazzo ventilato su cui sfuggire al traffico e al caldo cittadino.

KAMPOT
DA FARE:
Escursione a Kep al mercato dei granchi. Una serie di ristorantini sul mare li serve a 5 dollari al chilo. Deliziosi quelli al pepe fresco di Kampot, considerato uno dei migliori del mondo.
DORMIRE:
Kampot Guesthouse – 6 $ doppia con bagno – il pezzo forte e’ il giardino con tavolini ed amache, sebbene infestato dalle zanzare. Camere pulite anche se leggermente umide. Il ristorante e’ piuttosto caro, ma di fronte c’è la pizzeria di Diego, emigrante di Pescara…

SIEM REAP
DA FARE:
Una sola parola, Angkor. Conviene il biglietto di tre giorni che costa 40$ in tutto, anziché 20$ al giorno. Meglio noleggiare una bicicletta, per visitare seguendo i propri ritmi e senza fretta.
DORMIRE
Home Sweet Home Guesthouse – 8 $ doppia con bagno – camere impeccabili appena fuori dal centro. Cortile con dehors e ristorante.

NOTE:
– CAMBIO – gennaio 2013: 1 dollaro = 4.000 Riel circa.

Terra rossa – La Cambogia dalla A alla Z

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Giorno 139.

ANGKOR. Semplicemente uno dei siti archeologici più entusiasmanti del mondo.

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BENZINAI. Lo stile e’ rustico, taniche con pompetta sul ciglio della strada, o meglio ancora quando la benzina viene servita dentro vecchie bottiglie di Pepsi. Inimitabili.

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CHIOSCHETTI MOTORIZZATI. Se non hai voglia di andarti a cercare da mangiare, non preoccuparti, ti trovano loro…

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DOLLARO. La moneta amerikana ha di fatto sostituito il Rial cambogiano. Persino dai bancomat escono dollari, e’ tutto detto… DA DOVE VIENE IL GHIACCIO? Piccoli furgoncini lo consegnano a domicilio, nei bar o al ristorante. Dopodiché uomini e donne armati di mannaia lo sminuzzano su tavolacci di legno, o alla peggio lo segano. Da li finisce dritto nel tuo bicchiere.

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ESEQUIE DEL RE. Quando arriviamo a Phnom Penh il re Sihanouk e’ morto, già da qualche mese in realtà, ma la processione di fiori e preghiere davanti al palazzo reale non accenna ad esaurirsi. Viva Sihanouk!

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FOULARD A QUADRI. Proteggono dal sole e dalla polvere, all’occorrenza possono coprire le parti intime quando ti fai il bagno al fiume.

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GRANCHI. Senza mezzi termini, a Kep abbiamo mangiato i migliori della nostra vita. Valeva la pena a darci solo per questo. GIOSTRE buttate in mezzo ai campi. Lo stile e’ rozzo, di sicurezza non parliamone, ma il divertimento pare assicurato.

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INGRESSI, elaborati, imponenti. Che siano di un tempio o per una festa spesso sono più maestosi di ciò che celano.

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LEMONGRASS. L’erba aromatica che sa di limone alla base della cucina Khmer tradizionale. Non manca mai, nei curry, nel riso o nelle verdure saltate e ti segue tutto il giorno lasciandoti sulla lingua un sapore fresco e amaro.

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MOTORISCIO’. Il mezzo di trasporto più diffuso ed economico. Ti aspettano in agguato ai bordi delle strade per proporti escursioni e tragitti di ogni tipo, a prezzi sempre variabili in base all’esito di lunghe ed estenuanti trattative. Spesso nelle ore calde vedi i conducenti pisolare pigramente su amache di fortuna stese dentro il vano passeggeri. Sicuramente la categoria di lavoratori più folcloristica di tutto il paese.

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NAGA. Il serpentone a sette teste della mitologia indù che ti accoglie minaccioso innanzi alla passerella d’ingresso di Angkor Wat.

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ONG. Il lato oscuro della solidarietà. In Cambogia ce ne sono moltissime, spesso in buona fede. Quando si pensa però che una percentuale altissima del budget serve a pagare il personale straniero piuttosto che ad aiutare la popolazione locale, le domande sorgono spontanee.

POLPOT. Il cattivo. Il Fratello Numero Uno, vertice e principale ideatore del folle sogno degli Khmer Rossi, con la sua faccia insignificante. La banalità del male.

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QUANTI SINO-COREANI CI SONO AD ANGKOR? Troppi. Sfilano ordinati dietro guide armate di bandierine, dentro t-shirts monocromatiche coordinate, con macchine fotografiche grosse come telescopi. Ancora una volta hanno invaso e colonizzato…

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RAGNI FRITTI. Per quanta impressione possano fare alle nostre deboli menti, sono ottimi, con un retrogusto che sa di gambero. (!?!)

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S21. Un luogo infame, che mette i brividi. Le foto dei prigionieri in attesa di morte appese al muro sono un vero e proprio calcio in bocca.

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TERRA ROSSA che sembra Africa, ma non lo è. Si appiccica ovunque, come stoppa nei capelli, sporca piedi e vestiti, nessuno immune. TRASPORTI ECCEZIONALI. Improponibili carichi dall’equilibrio incerto che scorrazzano liberamente sulle strade. Vedere per credere…

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UNGHIE LUNGHE, spesso anche sporche. Sicuramente la moda più trash che va diffondendosi tra gli uomini di un certo livello sociale.

VOLANO. È il passatempo serale che invade strade e cortili, però si gioca in cerchio e solo con i piedi.

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ZANZARIERA, non si può vivere senza. Anche perché dengue e malaria sono molto diffuse nel paese, soprattutto nella stagione delle piogge e nelle zone rurali.

Angkor

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Giorno 138.

Ad Angkor ci danno il nostro primo soprannome: “one dollaa”, che sarebbe la storpiatura di un dollaro, senza la erre finale, perché qui non la sanno dire. I bambini ci puntano da lontano e quando ci vedono passare hanno già interrotto quello che stanno facendo per mettere su la stessa lacrimevole scenetta. Ci vengono incontro con faccia da orfani, da morti di fame, da pellegrini e con voce lamentosa supplicano una banconota. Salvo voltarsi e tornare a giocare ridendo quando capiscono che da noi non otterranno nulla di più di un saluto o un sorriso. Un piccolo gruppo di teatranti travestiti da venditori ambulanti di dolciumi, calamite e souvenir di ogni genere, spedito qui dai genitori, anziché andare a scuola, per sfruttare la faccetta angelica finché dura. E i piccoli incantatori sono furbi, perché sanno intenerire i turisti e hanno imparato a riconoscerli a colpo d’occhio. Attirano la loro attenzione salutando ognuno nella propria lingua madre, dal francese al coreano, dal tedesco al giapponese, e subito dopo iniziano a snocciolare cantilene di numeri o frasi fatte incollate a memoria in dieci idiomi diversi. Ma anche questo e’ il grande circo di Angkor.

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Noi cerchiamo di alienarci dalla frenesia del business, dai milioni di coreani, dai mega bus vip con aria condizionata dei tour organizzati che si accalcano lungo le strade, dalle visite guidate che promettono dodici templi in sei ore. Affittiamo due biciclette e ci immergiamo per tre giorni nella grande magia della città perduta, mimetizzandoci al mondo come ramarri tra muschio e radici. E cerchiamo di vivere la magnificente città più intimamente, di scoprire la grande metafora del tempo insita nell’eterna lotta tra pietre e radici che nel flusso del divenire si disgregano e si ricompongono in forme inedite e sorprendenti. Scaliamo, spesso abusivamente, gli enormi edifici di culto da cui si domina il panorama di tramonti incantati. Ci aggiriamo tra le rovine sopraffatte dalle radici di alberi secolari, in un inconsapevole tentativo da parte della foresta di inghiottire i resti di una civiltà, quella Khmer, che fu potentissima e di cui oggi non restano che pietre. Accarezziamo le aggraziate figure divine di danzatrici celesti, il viso di un bodhisattva e i sacri Lingam di Shiva su cui corre il vento del tempo, sgretolando un fregio, decapitando un dio, o storpiando una figura che lo scultore aveva immaginato perfetta. Ci perdiamo fra le milioni di pietre abbandonate ai lati delle strade che componevano chissà quali meraviglie in questo luogo ove sorgeva una delle più antiche metropoli del mondo, quando noi brancolavamo nel buio Medioevo. E tra scimmie curiose, torri imponenti e bacini artificiali non mancano incontri speciali con la vita di uomini che con dignità e rassegnazione ci raccontano la storia di una povertà senza via d’uscita e che ci lasciano in una temporalità indefinita. Questo e’ l’Angkor che volevo vedere, perché pochi luoghi al mondo riescono a regalare tante suggestioni.

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